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lunedì 18 febbraio 2013

Review from Rockerilla Febbraio 2013 & Rockambula




Calcutta – Forse…

Calcutta CD Cover
È scientificamente provato che vivere l’esperienza del viaggio nel tempo ha pesanti ripercussioni sul fisico e sulla mente. Io, ad esempio, ne ho vissuta una proprio di recente ed ora mi sento debilitato e fuori forma, faccio fatica a concentrarmi ed a portare a termine qualsiasi semplice azione quotidiana. A parte lo shock di essere catapultato ai giorni della mia adolescenza dove tutto sapeva di brufoli e marmellata, il trauma più grande è stato trovarmi faccia a faccia col me stesso di 20 anni fa che, traslucido di fronte allo stereo, mi ripeteva: “Non farlo, nooo!”. Un evidente caso di paradosso temporale, che avrà pesanti conseguenze sul mio futuro e forse anche sul mio passato. Forse prima di quell’incontro ero un ricco e lardoso figlio di puttana che se ne stava stravaccato sul suo yacht a contare soldi e prendere il sole… Ma veniamo al punto.
È successo che con estrema curiosità ho inserito nel lettore del mio stereo questo Forse… di Calcutta, un giovane cantautore di Latina che si propone forte solo della sua voce e della sua chitarra acustica, e già penso ad una di queste nuove leve dell’indipendenza nostrana tutta barba, occhiali da nerd e melodie esili esili pronte a buttarti nella malinconia e nella depressione. Invece nulla di tutto questo. Parte la prima traccia, Senza Aciugamano, che è da subito molto piacevole e ricorda lievemente i Grant Lee Buffalo per ritmica ed impatto, ma non solo… Il brano si fa ascoltare senza alcun impedimento e prosegue naturalmente fino alla fine, ma è netta una sensazione di deja-vu che ne permea l’esecuzione. Non riesco a capire cosa sia, bisogna andare avanti…
Solo al terzo brano il collegamento è ovvio. Me ne rendo conto quando davanti a me si materializza il poster di Lucio Battisti che mia cugina teneva orgogliosamente sulla parete più grande della sua camera e che ora è proprio qui, davanti a me, evocato dal timbro rauco e distante del nostro Calcutta. Mica roba da poco, direte voi. E no, rispondo io, ma ce ne sarà davvero bisogno? Vado avanti e non mi scoraggio, anche se i miei jeans sono improvvisamente diventati a vita alta. Calcutta si muove bene fra liriche accattivanti e acrobazie semantiche, ti lascia canticchiare ciò che hai appena ascoltato imprimendotelo bene in mente, a volte anche abbandonando strade già tracciate per avventurarsi in interessanti escursioni meno melodiche come in Nicole o nella spiazzante Il tempo che resta sing along, ma l’impressione che resti troppo ancorato al passato è evidente nella maggior parte dei passaggi. Intendiamoci, non che sia un plagio del buon Lucio con tanto di motocicletta e hp, ma questo Forse… ne respira appieno le arie peraltro conosciutissime e si confonde un pochino col già ascoltato. Pregevolissime sono comunque le citazioni (Arbre Magique), simpatico il tormentone dell’amico Enrico (Enrico), trascinante il non-sense (Cane) e interessanti le liriche (Pomezia, dalla quale Flavio Scutti ha tratto anche un video), ma forse non abbastanza per convincere chi ne è incuriosito ad apprezzare in toto il progetto che tuttavia si fa ascoltare ed apprezzare in quanto ad esecuzioni ed idee. Purtroppo la pesante eredità a cui si aggancia e che mi trasporta indietro nel tempo ne sminuisce la preziosità e non ne premia la bellezza anche se, ed è da rimarcare, è di certo un buon disco. È da sottolineare che il nostro si deve essere già cimentato col buon Lucio nazionale e che ne è sicuramente profondo conoscitore nonché artista che ha saputo far suo uno stile piuttosto che limitarsi ad imitare, ma per farsi conoscere ed apprezzare dal pubblico per le sue doti cantautoriali forse dovrebbe discostarsene ancora.
Comunque dal giorno in cui ho ascoltato Forse… comincio a rimpiangere i pantaloni a vita alta: controindicazioni da viaggio nel tempo.




http://www.rockambula.com/calcutta-forse/


Review from Vice Italy 2013

Il 90 percento dei cantautori crede di avere un sacco di cose da raccontare, poi li vedi tutti i giorni fare shopping per non sentirsi vuoti dentro, e ti tocchi le palle. Invece Calcutta, come tutti i grandi poeti, neanche si impegna a raccontare storie che abbiano una consistenza che vada più in là dei cazzi suoi, ma di colpo si trasformano in delle incudini di verità. Spero solo di non incontrare mai l’Enrico della canzone omonima, che si direbbe una persona alquanto irritante.
BRADIPO ASCOLANO

http://www.vice.com/it/read/recensioni-a9n2

venerdì 15 febbraio 2013

Review from Rockambula

Kawamura Gun, come suggerisce il suo nome, è un artista di origine giapponese: dopo un periodo di studio delle arti nel Regno Unito si è trasferito a Roma dove attualmente vive e lavora. Questo suo album, “Brutiful”, è il primo da solista. Gun è anche infatti da qualche anno chitarrista e cantante dei Blind Birds, band romana di ispirazione glam-rock.
Ok, è tempo di mettere su il CD. Lo ascolto una prima volta e capisco che non mi basterà: la prima impressione è di essere di fronte a qualcosa di originale, ispirato certamente alle sonorità del rock degli anni’60 e ’70, ma assolutamente dotato di vita propria. Il disco non è per niente banale e quello che conta è che mi ha fatto venire voglia di ascoltarlo una seconda volta, non per il semplice motivo che il mio compito è recensirlo, ma proprio per curiosità e gusto personale. Andiamo ad analizzarne i contenuti.
Gli arrangiamenti sono minimali, gli strumenti (tendenzialmente chitarra, basso e batteria/percussioni, con molte parti corali di background anche melodicamente indipendenti) paiono suonati quasi con svogliatezza, con voluto disinteresse per la precisione e la “bellezza” intesa come confezionamento commerciale di un’idea. Credo che Gun voglia proprio sottolineare, come nel titolo dell’album “Brutiful” (unione di due lingue, l’italiano e l’inglese e di due parole, Brutto e Beautiful), la doppia faccia della sua arte, meravigliosamente brutta come il mondo che il giapponese vede e racconta. Intendiamoci, non sto parlando di disinteresse per la perfezione artistica: al contrario Kawamura Gun mi pare non essere tipo da accontentarsi del proprio prodotto finché esso non abbia raggiunto la perfezione, la Sua perfezione però, che è tutt’altro che ordinata, tutt’altro che conforme al comune senso di “bello”.
Il disco si apre con “Tongued eyes”, brano cantato in inglese che ricorda le atmosfere di band quali i T-Rex e i Silverhead, tra l’altro dichiarati ispiratori della musica prodotta dal giapponese. Il brano è un inizio perfetto e spiega in maniera magistrale quello che Gun vuole farci sentire per il resto dell’album.
La seconda traccia ci annuncia che non tutto il disco sarà cantato in inglese: “Henda” infatti ha un testo in giapponese così come “Ke” e “Mawatte Mawatte”, quinta traccia dell’album, ipnotica quanto il video che Gun ne ha realizzato dove vedrete l’artista cimentarsi con un piatto giradischi sopra il quale è stato posto un LP corredato di piccole gambe di donna che eseguono coreografie. Questa immagine dovrebbe essere più che sufficiente a rendere l’idea dell’atmosfera in cui sarete catapultati. Cercate il video su YouTube.
Con “Say no word” si torna alla lingua inglese e con il testo anche la musica ci riporta al brit-pop di ispirazione beatlesiana. La melodia e l’armonia, aiutate dalla pronuncia della lingua inglese, diventano decisamente più easy pur mantenendo lo stile sopra le righe di Kawamura.
La chitarra torna ad essere grunge nella settima traccia del disco “I had your cake, Sarah”, brano che, a parte l’arrangiamento molto più soft e la voce decisamente meno “maledetta”, ricorda nel testo e nell’armonia qualcosa dei Nirvana. Non mancano ovviamente come in gran parte del disco le parti corali tipicamente british, ingrediente che, assieme al resto contribuisce a rendere il lavoro di Kawamura qualcosa di non ancora sentito. Quali sono le mie tracce preferite? “Tongued eyes”, “Mawatte Mawatte” e “Layers”.
“A volte mi è capitato di comporre pezzi non adatti al gruppo, li mettevo da parte, quando mi si è presentata l’opportunità, ho accettato la proposta di fare uscire un lavoro come solista”. Così Kawamura spiega il perché di questo album. Francamente credo sia difficile inventare qualcosa di nuovo, oggi. Quello che un artista può fare, probabilmente come sempre è stato fatto, è attingere dalle proprie esperienze, farsi contaminare dai propri interessi, scoprire e riunire pezzi di sè, esprimerli attraverso forme di comunicazione consone, e quindi creare. Questo in”Brutiful” è stato reso egregiamente. L’unione di ingredienti primari differenti, mescolati ed espressi alla maniera del giapponese, risulta assolutamente originale e apprezzabile.
“Brutiful”, per concludere, è stravagante, fuori dal comune, mai banale e, sempre, dolcemente deviante. Sicuramente questo disco è solo una piccola parte dell’espressività artistica di Kawamura Gun. Ascoltandolo e navigando un po’ sul web in cerca di curiosità su di lui mi sono imbattuto in diversi lavori, dalla pittura alla scultura, per passare dall’origami alla creazione di pupazzini. Ho visto tutto di sfuggita. Il mio lavoro era recensire il suo prodotto musicale, però consiglio a tutti coloro che vorranno avvicinarsi al sorprendente mondo del giapponese di dare un’occhiata anche al resto della sua arte. Sicuramente Kawamura Gun è un personaggio straordinario dotato di uno stile sopra le righe e che non ama le mezze misure, così come non ci saranno mezze misure nel vostro apprezzare o meno il suo disco: o vi farà impazzire o lo detesterete.

http://www.rockambula.com/kawamura-gun-brutiful/

                                                                                          

sabato 2 febbraio 2013

Review from SentireAscoltare

Mentre una parte sempre più consistente dell’underground (italiano ma non solo) sembra perdersi in sterili polemiche sul crowdfunding o sulla integrità da diy – noi, non c’è bisogno di dirlo, parteggiamo per la seconda – c’è sempre più gente che si sbatte in silenzio per far circolare la propria musica. La romana Geograph, giovane label gestita in solitaria da Antonio aka Grip Casino, sarebbe facilmente inseribile nel calderone onnicomprensivo del borgata boredom per frequentazioni e stortume. Ma i suoi confini, geographici e non, ci dicono di una entusiastica ricerca di “campioncini” off che spaziano con nonchalance tra deliri e deliqui, tra noise e sporcizia, rimanendo però sempre sintonizzati sulla forma canzone.
In un catalogo che si va facendo sempre più corposo, le ultime uscite sono Calcutta e Kawamura Gun, ennesime perle di un rosario di stramberie made in Grip Casino, Eva Won, Harmony Molina e Trapcustic. Forse, primo passo per il solo-act from Latina Calcutta, è un disco di quelli che difficilmente passerà inosservato e altrettanto difficilmente si toglierà dalla testa di chi avrà la fortuna di ascoltarlo. Un lavoro denso di sfattume oppiaceo e “deurbanizzato” applicato al folk deviante virato 60s, tropicàlia, tradizione popolare, cantautorato “colto” italiano anni 70 che ci fa venire in mente delinquenziali fusioni alla Bugo intimista meets Sic Alps e che mangia in testa a tutte le Luci del mondo. E lo fa a forza di ragazze incontrate a Pomezia, amori all’odor di Arbre Magique, amori finiti a Cisterna, sarcasmo surreale e (dis)ordinaria follia. Genialità e disagio da Latina. Applausi a scena aperta.
Da ancora più lontano arriva Kawamura Gun, ragazzone nippo trasferito da tempo a Roma, zona Pigneto ovvio, e ben calato nella surrealtà di zona se intitola Brutiful il suo esordio. Siamo sempre dalle parti della forma canzone latamente folk o rock, ma Gun ci mette quell’esotismo che spesso fa rima con weird quando si coniuga in giapponese. Il cantato in lingua madre suggestiona, certo, ma è il senso generale degli arrangiamenti decisamente bizzarri che tracimano la follia di qua e di là degli oceani a farsi notare tra gusto folkish stars&stripes e schizofrenie nippo, tradizioni infrante a più non posso, melodie fanciullesche e exotica sixties alla Pizzicato Five de noantri.

                                                                                             Stefano Pifferi