Rome - Contact & order: Geograph.Issues@gmail.com

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mercoledì 24 luglio 2013

Lunedì 29 Luglio "Upstart World" is Out.

New Grip Casino's release

Presentazione con ascolto hi-fi e vino bianco at Alpacha distro,
via fanfulla da lodi 5, Roma.
Lunedì 29 Luglio 2013
ore 19.00

Geograph records 007

Length: 37' 04''


 1 - The eternal aching comedy…
 2 - Digging on my grave
 3 - Terra in trance
 4 - A road
 5 - The writer
 6 - The girl know this
 7 - Top floor
 8 - Eyes
 9 - Transmit
10 - Let me ask you
11 - Bad state
12 - … of expectant youth




lunedì 22 luglio 2013

Nick Zurlo ci parla su Distorsioni


Labels: Geograph Records, from Roma

Maps of Borgata

2012-2013 

geograph tour new lrNegli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad una vera e propria proliferazione di micro-label musicali che, sulla scia dei dettami D.I.Y. (“do it yourself” ovvero “fattelo da solo”) delle produzioni discografiche punk-hardcore, hanno completamente ridisegnato il panorama underground mondiale e italiano. Anche la povera Italia, tanto bistrattata e malata di esterofilia, possiede dei giacimenti importanti dove è possibile trovare metalli preziosi, e fra i tanti filoni che percorrono sotterraneamente la capitale può capitare (per i più fortunati) di imbattersi nella Geograph Records, etichetta di cassette e cdR che gravita in quella Roma Est che ha fatto di Borgata Boredom il suo manifesto artistico. La Geograph è nata da pochi anni ma ha già sfornato alcuni dei lavori più interessanti di “cantautori”, se così possiamo definirli, di questo miasma weird-pop in controtendenza con una società basata sull'apparenza sorretta da una continua esposizione ad un'iconografia mediatica che rimbalza dal trash al nazionalpopolare. Grip Casino, Eva Won, Trapcoustic, Harmony Molina e gli altri musicisti che orbitano intorno alla Geograph Records corrispondono ad un'isola sperduta in questo oceano di superficialità, un luogo dove è possibile incontrare strane creature e dove la vegetazione offre frutti genuini ed esotici.

Già dalla prima uscita: Grip Casino - “SNTVL” la Geograph presenta al pubblico un disco essenziale ed eccentrico che ricorda molto da vicino i primi lavori di Daniel Johnston. La chitarra storta e dissonante è suonata con un approccio primitivista che risulta ancora più aspro per via dello stile di registrazione casalingo. Le canzoni che compongono questo disco sono spesso intervallate da intermezzi chiamati Skit che sono delle incursioni noise in una cornice che va dal punk ad un certo genere di indie-folk che si è sviluppato soprattutto negli Stati Uniti ed in Australia con esperienze, nelle decadi scorse, come Tall Dwarf o Half Japanese. Il secondo titolo della Geograph è affidato a“Bonsai Heart”bonsai heart cd dell'artista polistrumentista romano Trapcoustic. Inizialmente avevamo qualche riserva su questo lavoro, semplicemente non riuscivamo a spiegarci come un “noiser” della prima ora come Stefano Di Trapani (alias Trapcoustic) potesse avere nelle corde un genere così prettamente indie-folk, poi ad un ascolto più attento ci siamo dovuti subito ricredere. “Bonsai Heart” è forse uno dei migliori e più ispirati dischi che abbiamo ascoltato negli ultimi anni, Nick Drake incontra il cadavere di Kurt Cobain e quello che ne esce è una sorta di punk-psichedelia  totalmente dissennata e percorsa da lampi di assoluta genialità creativa.

“English muffins for breakfast while you're smoothly rubbing your legs against mine” è il titolo del disco del cantautore post-grunge Harmony Molina, primo ospite internazionale che fuoriesce, almeno geograficamente, dall'entourage romano della Geograph. Il disco è composto da 11 affreschi moderni che scorrono fluidamente sul nastro della tape come se appartenessero da sempre all'ascoltatore, un “istant-classic” che, appunto per la sua compiutezza, non solleva ulteriori interessi all'orecchio di un appassionato di sperimentazione. L'ultima release risale alla primavera 2012 ed è l'esordio di Eva Won con il suo disco omonimo. Questa è una delle più belle sorprese dell'anno: lo spettro cromatico delle influenze è enorme, si va dagli Spacemen 3 alle Y Pants, il tutto miscelato sapientemente e condito da una sorprendente (auto)ironia. “S/t” di Eva Won rappresenta evawonuna vittoria di “squadra”, è il manifesto di una scena che offre la possibilità a chiunque abbia qualcosa (di interessante) da dire di esprimersi artisticamente e creativamente, ed è questo il punto di forza e fondamentale peculiarità di etichette come la Geograph Records. Altre recenti issues dell'etichetta sono:Calcutta"Forse..." (LP 2012) e Kawamura Gun: "Brutiful" (LP 2012). Abbiamo incontrato “Giannantony” aka Antonio Giannantonio akaGrip Casino alla manifestazione Crack Comics!, un festival di fumetti indipendenti nella suggestiva cornice del centro sociale Forte Prenestino in Roma: lì abbiamo registrato questa intervista che siamo lieti di trascrivere per i lettori di Distorsioni.


Nick Zurlo (Distorsioni) - Perchè è nata Geograph Records?
Antonio Giannantonio aka Grip Casino - Fin da quando ero pischello ho sempre sognato di avere un'etichetta, registrare gruppi, fare dei racconti, fare delle cose che mi rappresentassero.L'idea è quella di utilizzare le “canzoni”, una sorta di racconto povero, una cosa che sta andando scomparendo.

Geograph Records si inserisce in un contesto musicale (Roma Est/Borgata Boredom) che fondamentalmente è percorso dalla vena noise, proponendo opere che effettivamente non hanno nulla a che vedere con questo genere di musica totalmente destrutturata.
Questo avviene principalmente per il fascino che si prova per alcuni dischi “compiuti”, fatti di pochi accordi e di parole cantate. Certo Geograph Records non sarebbe mai esistita senza Borgata Boredom.
 gripcd1
Pensi che questo tipo di approccio molto “privato” o “intimista” possa essere di respiro globale o soltanto circoscritto ad una cerchia di amici e aficionados che seguono questa scena?
Questo è un problema che noi affrontiamo per ogni uscita, non possiamo permetterci lunghe sessioni di registrazioni o microfoni da 2000 euro quindi ci affidiamo al room-recording. Ogni artista ha delle idee precise e per evitare che vengano in qualche modo corrotte ci affidiamo all'autoproduzione. Il nostro approccio non è quello di fare un prodotto circoscritto solo per gli amanti del Lo Fi ma questa è una scelta obbligata.

Parlando proprio di supporto fisico, voi Prediligete il cd-r e la tape, come mai la scelta di questi due supporti che sono così ostici per l'ascoltatore medio?
Noi usiamo questi supporti perché costano poco, la tape è il vinile dei poveri, ha un suono ed una peculiarità che affascina, ha una sua dignità in quanto nastro registrato.

Che musica bisogna fare per essere pubblicato su Geograph?
Io amo molto il suono scarno, povero, che con pochi accordi riesce a raccontare qualcosa di potente, è questa la caratteristica che la Geograph ricerca nei suoi artisti.

Che feedback avete dal pubblico?
La gente è strana, noi non ci autopromuoviamo tantissimo, ogni uscita è di 50 tape e un numero a caso di cd-r. La maggior parte delle vendite vengono da concerti che fanno gli artisti e da negozi di dischi che sono prevalentemente nella città di Roma, dovremmo in un certo senso sviluppare meglio la nostra distribuzione. Noi speriamo sempre che la gente ci venga a cercare.

Quale artista ti piacerebbe ospitare nella tua etichetta?
Vorrei scrivere a Phil Elvurm, artista americano che ha pubblicato con molti pseudonimi come Microphones o Mount Erie, mi piace molto il suo stile che definirei magico e libero, mi piacciono le sue canzoni, mi piacerebbe che mi regalasse qualcosa da pubblicare su Geograph.

Nick Zurlo


venerdì 12 luglio 2013

Calcutta su Shiver Zine

Calcutta – Forse… 

(2012 – Geograph Records)

Calcutta_Cover2012Calcutta è quel ragazzo che al falò in spiaggia porta la chitarra, suona le canzoni brutte e tutte le coppiette cominciano a pomiciare per poi appartarsi fra le dune, fino a quando quegli accordi scordati non suonano ormai soltanto che per lui solo e della pira ardente non rimane che qualche tizzone tiepido. Ed è in quel momento che probabilmente nascono le canzoni di Forse…: quando il vento gli getta sabbia negli occhi, il tepore del legno è quasi svanito e l’alba incombe. Canzoni da cantare quando si è soli e depressi: per tenersi caldi e meno soli davanti alla grandezza del mare grigio.
Nella voce di Calcutta da Latina – città dalla storia ingombrante e dalla fisionomia intimidente, e viceversa – c’è la desolazione che i luoghi da lui raccontati della provincia e del litorale laziale emanano, specialmente quando al di fuori della stagione balneare: colate di cemento semi-abusive e condonate, ideate da architetti cattivi e stuccate malamente. Luoghi apatici, senza prospettive, dediti solo all’usura del loro intonaco.
Se molto spesso s’è detto che la canzone italiana ha il fiato corto, i paraocchi e pecca di provincialismo, i testi di Calcutta eccedono: sono quadretti veristi di momenti quotidiani minuscoli. Come in “Arbre magique” dove si canta del far l’amore nello spazio afoso e scomodo di un automobile in mancanza di meglio, omaggiando anche un altro grande cantautore venuto dalla provincia laziale: “ma noi, una cantina buia dove noi/non l’abbiamo avuta mai/lo facevamo in macchina/in macchina.”Eppure, come spesso accade, gli estremi finiscono per toccarsi e così uno sguardo così particolare sulla desolazione immobile come quello Calcutta nasconde qualcosa di più: qualcosa che può essere  raccontato a chiunque da Sabaudia a Kyoto, passando per Formia. “Forse…” è, infatti, un disco umile, un disco insicuro e indefinito: fatto da chi e per chi non ha idea di dove guardare in un mondo troppo grande e spaventoso. E ciononostante ha anche qualcosa a cui aggrapparsi saldamente per non scivolare nel gorgo dello squallore e della disperazione: un appiglio fantastico fatto di quelle poche cose che si conoscono che ancora mantengono un po’ di colore in mezzo a tanto grigiore. Come la fantasia bambinesca, che evoca la ricomparsa de “I dinosauri” o disegna paesaggi sonori brillanti coi colori a dita nella traccia strumentale a grana grossa “Il tempo che resta sing along”, unico bagliore di speranza (implicita perché non cantata ma al massimo “bubolata”) del disco grazie alla presenza di ariosi archi sintetici. In tutto questo aiuta anche un’espressività non comune ed una produzione per nulla banale nonostante l’apparente essenzialità: sopra una voce spettrale, fragile e apatica che modella melodie sgualcite ma toccanti si stagliano accordi di chitarra grezzi, lenti e sgraziati – agghindati giusto da un riverbero un po’ “spaziale” – come se non gli importasse veramente impegnarsi in un mondo che sa essere così bello e deprimente a un tempo e la distinzione fra queste due qualità è spesso sfumata e confusa.
“Forse…” non è un album per tutti e per tutti i momenti: se non siete le persone giuste nello stato d’animo giusto vi sembrerà una lagna lunga mezz’ora che ascolterete ridendo nervosamente, come atto di rigetto per quel mood che non vi si confà. Se però sapete com’è sentirsi impauriti e senza una direzione precisa, come la prosaica eppure “immensa” busta di plastica spazzata dal vento in American Beauty, allora avrete fra le orecchie un piccolo gioiello sonoro da esaminare con attenzione, avidamente, alienandosi, per cercarne nuovi e meravigliosi dettagli mentre tutto il resto attorno sembra una merda.
 (Francesco De Paoli)